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DAGNINO AMATORE
Villa Baroni di San Secondo Parmense 1888-Parma 6 dicembre 1967
Figlio di Domenico e di Maria Conte. Compiuti gli studi elementari, il Dagnino, al principio del 1900, entrò nel seminario di Berceto. Dopo avere abbandonato per malattia gli studi religiosi, dopo una breve parentesi presso l’Istituto Stimatini, entrò nell’istituto delle Missioni estere nel 1904. Nel 1911, dopo avere ricevuto gli ordini, partì per la Cina. Nella terra di missione il Dagnino si dedicò allo studio della lingua e alla conversione e alle attività sociali a beneficio dei Cinesi. Nell’agosto del 1912 fu nominato rettore di Pechwang (Kiashien) e nel 1921 direttore del distretto centrale di Hianghsien, già residenza episcopale di monsignor Calza. Nel 1926 il Dagnino rimpatriò con l’incarico di rettore della scuola apostolica di Poggio San Marcello (Ancona). Nel 1928 venne nominato consultore generale. Dopo il ritorno in Cina, il Dagnino, alla morte di monsignor Conforti, fu eletto Superiore generale e prese in mano le redini della Società. Governò con fortezza e fede seguendo le orme del fondatore, tutto teso alla formazione dei missionari, all’osservanza regolare e alla vita di zelo nelle missioni. Rinunciata la carica di Superiore generale per malattia, il Dagnino rimase nel consiglio direttivo come consultore generale. Ritornato in Cina, resistette alla bufera comunista e alle persecuzioni fino a quando venne cacciato nel 1952. Anziché rimpatriare, ottenne di fermarsi nella nuova missione nel Pakistan orientale, dove rimase fino al 1956, quando fu richiamato per partecipare al Capitolo generale. Il Dagnino uscì da una famiglia di profondi principi cristiani. Il padre volle farsi missionario dopo la morte della moglie e morì nel 1923 all’istituto di monsignor Conforti, mentre altri tre fratelli del Dagnino furono missionari: Vincenzo, saveriano in Cina, Raffaele, gesuita in Albania, Filomeno, cappuccino in Brasile. Inoltre ebbe alcune sorelle suore e due nipoti sacerdoti: Raffaele Dagnino, parroco di San Giuseppe in Parma, e Amato Dagnino, rettore dello studentato teologico saveriano di Parma. Infine altre due nipoti furono suore, di cui una missionaria canossiana in India.
  FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 dicembre 1967, 4; F. da Mareto, Bibliografia, I, 1973, 185.

 

DAGNINO AMATO

San Secondo 1918 - Parma 2013. Fratelo di Don Raffaele. Leggi articolo

 

DAGNINO RAFFAELE
San Secondo Parmense 23 ottobre 1905-Parma 14 novembre 1977
Nato da genitori contadini di profonda fede religiosa, la sua scelta sacerdotale obbedì a una vocazione familiare: il fratello Amato fu missionario saveriano, due sorelle furono religiose (una nelle suore Chieppine, l’altra nelle Canossiane a Roma), lo zio Amatore Dagnino fu superiore dei Saveriani. Ma il Dagnino entrò in Seminario quando già frequentava, dopo aver svolto il servizio militare, la facoltà di Medicina. Fu la vista dei corpi inermi di cinque bambini morti, in sala anatomica, a sconvolgerlo e a determinare la sua decisione. Ricevuta l’ordinazione il 9 luglio del 1933, fu vice rettore del Seminario maggiore di Parma e, nel 1939, parroco a Santa Maria Maddalena. Poi, nel gennaio 1943 (nel frattempo conseguì la laurea in scienze naturali e dal 1940 al 1942 fu assistente degli uomini di Azione cattolica) gli fu assegnata la parrocchia di San Giuseppe: un rione popolare, formato prevalentemente da operai, con il quale l’impatto fu duro perché il Dagnino esprimeva un carattere severo e intransigente nei principi. Alla fine però i parrocchiani finirono per capirlo e per apprezzarne il senso di sacrificio e lo spirito di carità e di umiltà, accompagnato a un senso vivissimo della dignità sacerdotale. La guerra incombeva con lutti e rovine e le persecuzioni nazifasciste erano all’ordine del giorno. Fu proprio in quei momenti che il Dagnino diede la misura della sua carità e del suo coraggio, ponendosi dalla parte dei perseguitati, senza distinzione di fede politica o religiosa. Così non mancò di intervenire presso le autorità tedesche quando si trattò di tutelare la vita e la libertà di chi sapeva in pericolo e quando un suo parrocchiano, Stefano Massari, fu trucidato in Piazza Garibaldi insieme ad altri sei antifascisti, di fronte all’immagine della vedova disperata che portava al cimitero della Villetta, su un carretto, il corpo senza vita del marito, il Dagnino non esitò ad affrontare il federale Romualdi con grande fierezza e duramente, incurante dei rischi che poteva correre. A guerra finita, fu sempre in prima linea a favore delle classi meno abbienti, esercitando il ministero della parola (le sue prediche, talora anche in dialetto, i suoi discorsi e i suoi scritti furono sempre pungenti e stimolanti), intervenendo in campo sociale, come fondatore e assistente delle Acli dal 1946 al 1966 e come promotore dell’Opera sociale Pio XII (comprendente il Teatro Pezzani), ove si tennero corsi di qualificazione e di studio, attività culturali e formative, e in campo spirituale, con l’esempio di una norma di vita rigorosa e coerente.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 15 novembre 1977, 4; Raffaele Dagnino sacerdote, Verona, 1997.

Leggi articolo tratto dal libro " I miei Preti I nostri Preti" di Don Domenico Magri - Tipo-Lito Grafica Langhiranese 2008

 

DAGNINO VINCENZO
Villa Baroni di San Secondo 21 maggio 1884-Cina 4 luglio 1908
Nato da Domenico e Maria Conte, sesto di dodici fratelli, dei quali tre morirono in giovane età, quattro si fecero missionari in diversi istituti e quattro sorelle presero l’abito religioso nella Congregazione di Sant’Andrea Fournet. All’età di ottant’anni, rimasto vedovo, anche il padre Domenico si ritirò come benemerito nell’Istituto missionario parmense. Il Dagnino entrò nell’Istituto missionario di monsignor Conforti nel 1896, vi compì gli studi e vi fu ordinato sacedote il 22 settembre 1906. Partì per la Cina il 25 gennaio 1907, dove morì un anno e mezzo dopo, a soli 24 anni d’età.

FONTI E BIBL.: P. Garbero, Missionari in Cina, 1965, 118.

 

DALL’OLIO PIETRO
San Secondo 6 gennaio 1821-Borgo San Donnino 26 maggio 1906
Vestì l’abito cappuccino a Borgo San Donnino a diciassette anni (11 maggio 1838). Religioso di profonda pietà e grande carità, seppe profondere le sue doti nel ministero pastorale come superiore, predicatore, confessore e ricercato direttore di coscienze. Fu inoltre fabbriciere, guardiano (1902) a Vignola, Novellara, Piacenza, Scandiano e Parma, definitore (1869-1893) e ministro provinciale (1896). Ebbe, tra gli altri, sotto la sua guida spirituale l’amico monsignor Andrea Ferrari, rettore del seminario parmense. Quando ai moti mazziniani, scoppiati a Parma il 22 luglio 1854, seguì la dura reazione del governo borbonico, fu il Dall’Olio ad assistere e confortare i patrioti condannati a morte (5 agosto 1854). Per quarantaquattro anni, quasi ininterrottamente, fu superiore nei principali conventi dell’Emilia. Volle la Curia nel convento di Parma, di cui fu benemerito. Morì nel convento di Borgo San Donnino, per la cui erezione si era battuto.

FONTI E BIBL.: Omaggio per il 60° anniversario di religione del M.R.P. Ignazio da San Secondo, Ministro Provinciale dei Cappuccini della Provincia Parmense, 11 maggio 1898, Modena, Tipografia Pontificia e Arcivescovile Immacolata Concezione, 1898; Anal. Ord., XVIII, 1902, 263-264; FF, X, 1932, 135-136; F. da Mareto, Biblioteca cappuccini, 1951, 286; F. da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 319; Ausiliatrice 3/4 1965, 3; E. Massa, L’Almanacco Parmense, Strenna, 1927, 254; F. da Mareto, Bibliografia, 1974, 574.

 

DEL BONO ANASTASIO

Nato a San Secondo il 13 aprile 1929.    Oboista.

Dopo aver studiato al Conservatorio di Parma come alunno interno con Mario Bocchia, si è diplomato nel 1949. Dedicatosi alla professione di orchestrale, ha suonato per 2 anni come II oboe al Teatro Comunale di Bologna. Nel 1951, vinto il concorso come corno inglese nell'orchestra sinfonica di Montevideo (Uruguay), ha tenuto quel posto per 4 anni. Rientrato in Italia, nel 1957 ha vinto il concorso per I oboe al Teatro dell'Opera di Roma, posto che ha tenuto fino al 1983, anno nel quale ha abbandonato la carriera in orchestra. Nel 1969 è stato nominato docente di oboe nel Conservatorio di musica di Pesaro, e nel 1973 si è trasferito in quello di S. Cecilia di Roma, per passare nel 1981 a Parma, dove ha insegnato fino al collocamento in pensione nel 1999.

 

DEL BUTTERO ANTONIO LUIGI

 

DEL BUTTERO SIMONE
Firenze 1739 c.-post 1796
Fissò la propria residenza in San Secondo in epoca di poco precedente al 1757, anno in cui, in data 5 giugno, sposò Eufrasia Seletti, dalla qale ebbe nove figli. Deceduta la moglie a trentasei anni nel 1769, il Del Buttero si coniugò con Francesca Casalpa, che gli diede altri quattro figli. Esercitò la professione di intagliatore, oltre che nel Ducato parmense, nei contigui Stati estensi. Tanto si deduce da una serie di pagamenti (Archivio di Stato di Modena, Fondo ECA, Confraternita di San Pietro di Vignola, F. 1673, Conti de’ cassieri dall’anno 1787 a tutto 1796, c. 60) per lavori eseguito per la Confraternita di San Pietro in Vignola tra cui figurano, tra il 15 ottobre e il 20 dicembre 1796, la velatura della mensa dell’altare maggiore, vari interventi restaurativi su arredi processionali come il gonfalone, la realizzazione di una croce intagliata, l’argentatura di un paliotto ligneo e la verniciatura di candelieri, pure in legno intagliato (materiali tutti che risultano dispersi).

FONTI E BIBL.: Dizionario biografico degli Italiani, XXXVI, 1988, 381-382.

 

DEL GROSSO FRANCESCO
San Secondo Parmense 28 settembre 1899-Barracas 22 luglio 1938
Nato da Maria Egla Del Grosso. Fu ufficiale degli Arditi nella prima guerra mondiale, dove si guadagnò la croce di guerra al valor militare. Camicia nera, poi squadrista della marcia su Roma, fu volontario nell’Africa Orientale Italiana e infine volontario in Spagna. Iscritto alla M.V.S.N. dalla fondazione col grado di Centurione, partecipò alla campagna per la conquista dell’Impero con tale grado, sebbene avesse già ottenuto la promozione a Primo Seniore. Partito per la Spagna nel 1937, fu destinato alla XXIII Marzo. Comandò per un certo tempo il Battaglione Lupi e successivamente fu nominato comandante del 5° Reggimento Camicie Nere (74ª Legione Taro. Partecipò così a tutte le più importanti azioni cui prese parte il suo reparto, distinguendosi sempre per l’alto spirito di combattente e il fervore fascista. Quale comandante di una delle due bande nere che il 13 marzo 1937, nel settore di Trijuque (prima fase della battaglia di Guadalajara), lottarono contro la 50ª Brigata di Lister composta da veterani del 5° Reggimento, appoggiati da mezzi corazzati, il Del Grosso si prodigò per evitare lo sbandamento dei reparti. Malgrado le difficoltà, la situazione non sfuggì al suo controllo. Sebbene i reparti legionari riportassero 39 morti e 60 feriti, senza considerare il numero di prigionieri, riuscì a evitare l’annientamento delle proprie forze e ripiegò con i superstiti. Per questa azione fu decorato di croce di guerra al valor militare. Il 17 luglio 1938, nella Conca di Baracas, mentre si recava a dare ordini al Battaglione Lupi per una conversione da farsi in combattimento, venne colpito da una raffica di mitragliatrice nella regione inguinale e addominale: spirò cinque giorni dopo. Il Del Grosso fu decorato di medaglia di bronzo il 23 agosto 1937 e di due medaglie d’argento, l’ultima delle quali porta la seguente motivazione: Sempre distintosi in tutte le azioni precedenti per valore personale e perizia, sia quale comandante di battaglione che quale ufficiale superiore a disposizione. Più volte incaricato di rischiose missioni e di difficili compiti, li portava sempre brillantemente a termine. Nel dirigere valorosamente l’azione di un battaglione per l’occupazione di importanti posizioni rimaneva ferito a morte, ma teneva contegno stoico e sereno, destando l’ammirazione dei dipendenti.

FONTI E BIBL.: G. Sitti, Legionari in Spagna, 1940, 73; Decorati al valore, 1964, 113-114; P. Tomasi, Morti per la causa franchista, 1982; F. Morini, Parma in camicia nera, 1987, 181.

 

DEL GROSSO LUIGI
San Secondo Parmense 25 luglio 1916-Parma 12 maggio 1976
Raccolse i primi consensi come calciatore difendendo la casacca bianconera del San Secondo. Poi passò alla Giovane Italia e quindi al Parma, dove rimase due stagioni (1932-1934). Successivamente indossò la maglia della Cremonese, del Modena, della Lazio, del Treviso, della Spal e nuovamente del Parma (1946-1947). Poi iniziò una prestigiosa carriera come allenatore (Pisa, Ascoli, Pescara, Lanciano, Padova, Reggiana). Per due volte (1957-1958 e 1958-1959) ricevette il premio Seminatore d’oro. A Reggio Emilia iniziò la carriera di direttore sportivo. Dopo la Reggiana passò alla Sampdoria ma l’anno seguente il Del Grosso ritornò a Parma, nella società che già in passato aveva onorato come calciatore. Fu anche presidente dell’Associazione italiana allenatori di calcio.

FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 gennaio 1993.

 

DEL PRATO PIETRO GIOVANNI
San Secondo 12 dicembre 1815-Parma 29 gennaio 1880
Nacque da Ferdinando e da Annunziata Barilli. Si avviò agli studi di medicina nella città di Parma, nel periodo in cui le scuole superiori dello Stato sostituirono l’Università parmense, chiusa dopo i moti del 1831. Ebbe maestro, tra gli altri, Giacomo Tommasini. Laureatosi nel 1838, esercitò per un certo tempo la professione, anche in qualità di medico condotto nel paese natale. Dopo pochi anni, però, la sua carriera cambiò radicalmente direzione, in rapporto con la vicende che animarono la scuola veterinaria di Parma, ove un insegnamento di medicina veterinaria aggregato all’Università, inaugurato con la riforma di Maria Luigia d’Austria, era stato retto da M.L. Benvenuti. Alla morte di questo, nel 1839, il governo si trovò nella necessità di garantirsi la prosecuzione della scuola e decise di inviare due giovani medici a istruirsi nelle scienze veterinarie a Milano. Il Del Prato sostenne il concorso e ne risultò vincitore insieme con F. Lombardi, con il quale nel gennaio 1843 si trasferì a Milano. L’Istituto veterinario di Milano era stato da pochi anni modellato sull’esempio di quello di Vienna ed era sottoposto all’autorità accademica dell’Università di Pavia. Godeva delle cure e dell’interessamento particolare dell’ambiente governativo e attraversava, in quel momento, un periodo aureo di grande vigore didattico e scientifico. A quella scuola il Del Prato completò gli studi zooiatrici laureandosi il 4 settembre 1844. Tornò quindi in patria e già nel novembre dello stesso anno poté assumere la direzione della cattedra di medicina veterinaria che era stata del Benvenuti, mentre al Lombardi fu affidato l’insegnamento della chirurgia veterinaria. In questo modo si ristabilì in Parma un organico corso di studi veterinari e nel 1845 venne aperta la scuola nel Borgo Carissimi. Il Del Prato si trovò così a essere, tra il 1844 e il 1848, il protagonista della riforma della scuola veterinaria parmense, della quale assunse poi la direzione nell’aprile 1848, quando altri docenti vennero aggiunti ai primi due. Nel 1849, in seguito agli avvenimenti politici risorgimentali ai quali egli aderì, venne temporaneamente sospeso dall’ufficio. Reintegrato nell’insegnamento nel 1850, nel 1854 poté tornare alla direzione dell’istituto veterinario. In quell’epoca aveva oramai maturato una valida formazione nel campo degli studi zooiatrici e della pratica applicazione della disciplina. Oltre che in campo didattico il Del Prato fu fortemente impegnato in quello scientifico e cominciò a pubblicare i risultati delle sue osservazioni e delle sue ricerche, acquisendo in breve tempo notorietà e solida reputazione in campo nazionale. Fu in corrispondenza e in amicizia con i maggiori rappresentanti degli ambienti scientifici nei quali evolveva in quegli anni il rinnovamento della veterinaria. Restò sempre legato alla città e all’Università di Parma, dedicandosi incessantemente ai suoi studi e alla didattica, che interruppe solo brevemente nel 1859 durante la seconda guerra d’indipendenza, e fondando una buona scuola alla quale si formarono molti allievi. Il Del Prato diede tardi le sue prime pubblicazioni. È noto, a questo proposito, un episodio del 1854, quando la fedele trascrizione dei suoi appunti sulle epizoozie fu stampata a Milano da A. Volpi a proprio nome e a insaputa del Del Prato. Tra i primi lavori si ricordano quelli sulla giarda equina, in cui tende a escludere in questa forma morbosa cutanea la prerogativa specifica di vaccinogeno sino ad allora da molti attribuitale. Nella sfera di questi interessi si inserì il suo viaggio negli stati tedeschi, nella primavera del 1858, quando fu inviato dal governo a studiare l’andamento della produzione del vaccino a mezzo della retrovaccinazione. Nel 1858 il Del Prato osservò in Parma un morbo che imperversava pernicioso tra i cavalli e ne propose una definizione diagnostica: Tifoemia nei cavalli (Parma, 1858), indicando anche le opportune strategie terapeutiche negli alcoolici e nei chinacei laddove salassi, antimoniali e drastici apparivano letali. Le sue tesi furono accolte anche dai seguaci della scuola vampirica. Nel 1861 pubblicò a Torino (nella rivista Il Medico Veterinario) Osservazioni sul moccio cronico e sulle malattie dei seni. Nel 1862, quando giunse in Italia il tifo bovino esotico, egli si occupò di questa malattia con osservazioni e ricerche originali. Una serie di studi dedicò anche alla pneumonia essudativa contagiosa, da molti anni oggetto di ricerche, specie sui modi e gli effetti dell’inoculazione che era stata proposta e sostenuta da alcuni. Mentre sulle prime sembrava che l’esperienza fosse favorevole all’innesto, le sue ricerche lo portarono a prendere distanza da questa pratica. Sull’argomento pubblicò Studi sulla pneumonia essudativa e polmonare, sull’inoculazione e suoi risultamenti (Parma, 1857) e tornò successivamente con altri lavori tra i quali si può citare quello, scritto in collaborazione con D. Mambrini, Della pleuropolmonite specifica degli animali bovini comunemente detta polmonare e sulla pretesa efficacia dell’innesto come mezzo preventivo. Considerazioni desunte precipuamente da osservazioni pratiche (Mantova, 1875). Nel 1870 pubblicò a Parma i risultati delle sue osservazioni sulla malattia che colpì alcuni cavalli di Parma: Il diabate osservato e curato sopra sei cavalli nella clinica veterinaria di Parma nel 1870. Relazione medica. Nel 1875 studiò una malattia ulcerosa, molto rara e a eziologia oscura, comparsa nei bovini di un podere a Fognano di Parma: Storia di una malattia ulcerosa comparsa sui bovini in una stalla prossima alla città di Parma nei primi giorni del 1875 con osservazioni diverse concernenti forme morbose analoghe e relazione delle sperienze eseguite per iscoprire la cagione di quel male (Parma, 1875). Si occupò anche di altre importanti patologie: la causa dell’aborto nelle vacche, la corea dei maiali, la morva e la rabbia. Un suo interesse particolare per le malattie degli uccelli è testimoniato in un ampio trattato che fu frutto di un lungo lavoro in collaborazione con S. Rivolta, allievo del suo collega e amico G.B. Ercolani: L’ornitoiatria o la medicina degli uccelli domestici (Pisa, 1880). Si occupò anche dei temi di igiene veterinaria e di zootecnica. Sostenne la necessità di curare attentamente gli studi tecnici e legali che affrontassero i molti problemi della giurisprudenza veterinaria. Pubblicò un lavoro, Dell’importanza e degli uffici della veterinaria (Parma, 1870) e pochi anni dopo diede alla stampa uno studio che ebbe discreta notorietà: Principi di giurisprudenza veterinaria sulla legislazione applicabile ai vizi redibitori e la guarentigia nelle vendite e permute di animali domestici (Parma, 1876), nel quale sostenne il bisogno di migliorare la legislazione italiana relativa alla contrattazione del bestiame domestico. Il Del Prato si dedicò sempre con energia al problema dell’ordinamento delle scuole di veterinaria. Durante tutta la sua carriera fu infatti alle prese con le varie vicende legislative che interessarono la disciplina e il suo insegnamento, prima nello Stato parmense e, dopo l’Unità, in campo nazionale. Egli ottenne che nella scuola di Parma fosse richiesto un corso di studi superiori quale requisito per l’ammissione, connotando nella selezione più severa una maggiore dignità degli studi. Il primo atto legislativo che interessò la scuola veterinaria dello Stato italiano fu però il Regolamento per le Regie Scuole superiori di medicina veterinaria del dicembre 1860: questo provvedimento confermò nella qualifica di scuole superiori solo le sedi di Milano e Torino, escludendo tutte le altre, che pertanto vennero considerate secondarie. Le principali differenze tra le prime e le seconde erano, oltre che nel trattamento economico dei docenti, nei requisiti per l’ammissione: solo per l’accesso alle superiori e non per quello alle secondarie, infatti, fu richiesto un titolo equivalente alla licenza liceale, valido cioè anche per essere ammessi all’università. Questi regolamenti suscitarono proteste e scritti polemici da parte dei docenti. Il Del Prato in Parma si oppose ai provvedimenti, ma non riuscì che a ritardarne di qualche anno l’applicazione. In quel periodo pubblicò Sull’avvenire della veterinaria in Italia: discorso (Parma, 1861). Il Del Prato dedicò buon parte dei suoi studi ai temi storici della disciplina e lasciò una serie di pubblicazioni, discorsi, note storiche, edizioni di testi e documenti. Questa inclinazione fu favorita dai suoi forti interessi di bibliofilo. Egli raccolse pazientemente una vasta biblioteca specializzata, ricca di gran quantità di libri di varie epoche e di codici antichi, di zoognosia, di medicina ed economia degli animali domestici, molti dei quali rarissimi. Insieme all’Ercolani acquistò la celebre raccolta di libri veterinari di F. Margarucci di Roma e riuscì a procurarsi anche diversi manoscritti appartenuti a G. Orus che, originario di Parma, aveva operato a Padova nella pratica e nell’insegnamento della veterinaria. Da questo materiale trasse gli studi sullo sviluppo della disciplina in Padova nel secolo XVIII e sulla scuola fondata dall’Orus. Buona notorietà gli venne dalle sue fatiche di editore di antichi testi. Pubblicò i Trattati di mascalcia, attribuiti ad Ippocrate, tradotti dall’arabo in latino da Maestro Moisè da Palermo, volgarizzati nel secolo XIII, messi in luce per cura di Pietro Del Prato, corredati di due posteriori compilazioni in latino e in toscano e di note filologiche per cura di Luigi Barbieri (Bologna, 1865), nella Collezione di opere inedite o rare dei primi tre secoli della lingua. Di lì a poco diede l’edizione de La mascalcia di Lorenzo Rusio. Volgarizzamento del secolo XIV messo per la prima volta in luce da Pietro Del Prato aggiuntovi il testo latino per cura di Luigi Barbieri (Bologna, 1867-1870), nella medesima Collezione di opere inedite o rare, in due volumi, il primo dei quali contenente il testo volgare e latino, tratto da un codice della sua biblioteca privata, e il secondo l’ampio studio Notizie storiche degli scrittori italiani di veterinaria, corredato da un glossario e da indici. Di argomento storico è anche un’altra operetta sintetica, La veterinaria e la medicina comparata in Italia da Renato Vegezio a’ giorni nostri. Discorso (Parma, 1869), in cui sottolineò tra l’altro l’intima connessione tra gli studi di medicina veterinaria e quelli di medicina umana. Egli ebbe infatti sempre a cuore questo tema, sostenuto dalla sua duplice formazione, dalle due lauree e dalle personali esperienze sia di medico sia di veterinario. Asseverò la sua tesi con l’espressione del giudizio di G.F. Ingrassia, che già nel secolo XVI affermava la necessità di sottoporre l’esercizio della veterinaria all’autorità del protomedicato, riconoscendo l’uguaglianza delle due branche dell’arte di sanare. Il Del Prato fu attivo anche nella vita sociale e politica della città e ricoprì cariche pubbliche: fu consigliere comunale e provinciale a Parma ed espresse idee vicine al partito moderato. Fu membro e poi presidente della commissione amminstrativa degli ospizi civici e membro di commissioni scolastiche e sanitarie. Fu membro di accademie e associazioni scientifiche. Nel 1873 fu presidente della commissione per gli studi zootecnici ed economici sulle razze bovine nel Parmense. Fu insignito di molte onorificenze, tra le quali la nomina a cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro. Egli fu, con l’Ercolani e con altri esponenti del suo tempo, tra coloro che con maggiore vigore promossero l’innalzamento della veterinaria al rango degli studi universitari, sostenendo la riforma della scuola e accrescendo il patrimonio della disciplina con l’esercizio della professione e della didattica sempre vincolato all’osservanza del rigore scientifico e della ricerca. Può certamente essere considerato il fondatore e il più attivo esponente della scuola veterinaria di Parma nel secolo XIX. Sposò Margherita Giraschi. Morì quando era massimo il suo impegno nello studio e nell’insegnamento. Il suo posto di direttore dell’istituto veterinario fu occupato da F. Lombardi, l’amico che aveva iniziato e percorso con lui tutte le tappe della carriera nella scuola parmense.

FONTI E BIBL.: Necrologio in Annuario Scolastico della Regia Università degli studi di Parma, 1879-1880, Parma, 1880, 69-72 (con l’elenco delle pubblicazioni); Annuario Scientifico e Industriale XVII 1880, 878; B. Panizza, Ricordi sui meriti di R. Del Prato, Padova, 1880; G.B. Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri, Appendice, Parma, 1880, 66-74; Gli allievi diplomati nel primo centennio della Regia Scuola superiore di medicina veterinaria di Milano (1791-1891) con brevi cenni biografici, Milano, 1981, 107 s.; E. Michel, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, Milano, 1930; F. Ercole, Uomini politici, 1941, 35; Dizionario Utet, IV, 1956, 467; F. Rizzi, I professori dell’università di Parma attraverso i secoli. Note indicative bio-bibliografiche, Parma, 1953, 84 s.; V. Chiodi, Storia della veterinaria, Bologna, 1981, 170, 327, 332, 355, 455; G. Armocida, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXVIII, 1990, 251-254.

 

DERLINDATI GIULIO
San Secondo Parmense 27 aprile 1912-Cefalonia 10 settembre 1943
Residente a Roccabianca, fu soldato appartenente al 17° Fanteria, 1° Battaglione, 4ª Compagnia, Divisione Acqui. Morì in combattimento contro i Tedeschi.

FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 aprile 1990,