DAGNINO
AMATORE
Villa Baroni di San Secondo Parmense 1888-Parma 6 dicembre
1967
Figlio di Domenico e di Maria Conte. Compiuti gli studi
elementari, il Dagnino, al principio del 1900, entrò nel
seminario di Berceto. Dopo avere abbandonato per malattia
gli studi religiosi, dopo una breve parentesi presso
l’Istituto Stimatini, entrò nell’istituto delle Missioni
estere nel 1904. Nel 1911, dopo avere ricevuto gli ordini,
partì per la Cina. Nella terra di missione il Dagnino si
dedicò allo studio della lingua e alla conversione e alle
attività sociali a beneficio dei Cinesi. Nell’agosto del
1912 fu nominato rettore di Pechwang (Kiashien) e nel 1921
direttore del distretto centrale di Hianghsien, già
residenza episcopale di monsignor Calza. Nel 1926 il Dagnino
rimpatriò con l’incarico di rettore della scuola apostolica
di Poggio San Marcello (Ancona). Nel 1928 venne nominato
consultore generale. Dopo il ritorno in Cina, il Dagnino,
alla morte di monsignor Conforti, fu eletto Superiore
generale e prese in mano le redini della Società. Governò
con fortezza e fede seguendo le orme del fondatore, tutto
teso alla formazione dei missionari, all’osservanza regolare
e alla vita di zelo nelle missioni. Rinunciata la carica di
Superiore generale per malattia, il Dagnino rimase nel
consiglio direttivo come consultore generale. Ritornato in
Cina, resistette alla bufera comunista e alle persecuzioni
fino a quando venne cacciato nel 1952. Anziché rimpatriare,
ottenne di fermarsi nella nuova missione nel Pakistan
orientale, dove rimase fino al 1956, quando fu richiamato
per partecipare al Capitolo generale. Il Dagnino uscì da una
famiglia di profondi principi cristiani. Il padre volle
farsi missionario dopo la morte della moglie e morì nel 1923
all’istituto di monsignor Conforti, mentre altri tre
fratelli del Dagnino furono missionari: Vincenzo, saveriano
in Cina, Raffaele, gesuita in Albania, Filomeno, cappuccino
in Brasile. Inoltre ebbe alcune sorelle suore e due nipoti
sacerdoti: Raffaele Dagnino, parroco di San Giuseppe in
Parma, e Amato Dagnino, rettore dello studentato teologico
saveriano di Parma. Infine altre due nipoti furono suore, di
cui una missionaria canossiana in India.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 7 dicembre 1967, 4; F. da
Mareto, Bibliografia, I, 1973, 185.
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DAGNINO
AMATO
San Secondo
1918 - Parma 2013. Fratelo di Don Raffaele.
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articolo
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DAGNINO
RAFFAELE
San Secondo Parmense 23 ottobre 1905-Parma 14 novembre 1977
Nato da genitori contadini di profonda fede religiosa, la
sua scelta sacerdotale obbedì a una vocazione familiare: il
fratello Amato fu missionario saveriano, due sorelle furono
religiose (una nelle suore Chieppine, l’altra nelle
Canossiane a Roma), lo zio Amatore Dagnino fu superiore dei
Saveriani. Ma il Dagnino entrò in Seminario quando già
frequentava, dopo aver svolto il servizio militare, la
facoltà di Medicina. Fu la vista dei corpi inermi di cinque
bambini morti, in sala anatomica, a sconvolgerlo e a
determinare la sua decisione. Ricevuta l’ordinazione il 9
luglio del 1933, fu vice rettore del Seminario maggiore di
Parma e, nel 1939, parroco a Santa Maria Maddalena. Poi, nel
gennaio 1943 (nel frattempo conseguì la laurea in scienze
naturali e dal 1940 al 1942 fu assistente degli uomini di
Azione cattolica) gli fu assegnata la parrocchia di San
Giuseppe: un rione popolare, formato prevalentemente da
operai, con il quale l’impatto fu duro perché il Dagnino
esprimeva un carattere severo e intransigente nei principi.
Alla fine però i parrocchiani finirono per capirlo e per
apprezzarne il senso di sacrificio e lo spirito di carità e
di umiltà, accompagnato a un senso vivissimo della dignità
sacerdotale. La guerra incombeva con lutti e rovine e le
persecuzioni nazifasciste erano all’ordine del giorno. Fu
proprio in quei momenti che il Dagnino diede la misura della
sua carità e del suo coraggio, ponendosi dalla parte dei
perseguitati, senza distinzione di fede politica o
religiosa. Così non mancò di intervenire presso le autorità
tedesche quando si trattò di tutelare la vita e la libertà
di chi sapeva in pericolo e quando un suo parrocchiano,
Stefano Massari, fu trucidato in Piazza Garibaldi insieme ad
altri sei antifascisti, di fronte all’immagine della vedova
disperata che portava al cimitero della Villetta, su un
carretto, il corpo senza vita del marito, il Dagnino non
esitò ad affrontare il federale Romualdi con grande fierezza
e duramente, incurante dei rischi che poteva correre. A
guerra finita, fu sempre in prima linea a favore delle
classi meno abbienti, esercitando il ministero della parola
(le sue prediche, talora anche in dialetto, i suoi discorsi
e i suoi scritti furono sempre pungenti e stimolanti),
intervenendo in campo sociale, come fondatore e assistente
delle Acli dal 1946 al 1966 e come promotore dell’Opera
sociale Pio XII (comprendente il Teatro Pezzani), ove si
tennero corsi di qualificazione e di studio, attività
culturali e formative, e in campo spirituale, con l’esempio
di una norma di vita rigorosa e coerente.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 15 novembre 1977, 4;
Raffaele Dagnino sacerdote, Verona, 1997.
Leggi
articolo tratto dal libro " I miei Preti I nostri Preti" di
Don Domenico Magri - Tipo-Lito Grafica Langhiranese 2008

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DAGNINO VINCENZO
Villa Baroni di San Secondo 21 maggio
1884-Cina 4 luglio 1908
Nato da Domenico e Maria Conte, sesto di dodici fratelli,
dei quali tre morirono in giovane età, quattro si fecero
missionari in diversi istituti e quattro sorelle presero
l’abito religioso nella Congregazione di Sant’Andrea Fournet.
All’età di ottant’anni, rimasto vedovo, anche il padre
Domenico si ritirò come benemerito nell’Istituto missionario
parmense. Il Dagnino entrò nell’Istituto missionario di
monsignor Conforti nel 1896, vi compì gli studi e vi fu
ordinato sacedote il 22 settembre 1906. Partì per la Cina il
25 gennaio 1907, dove morì un anno e mezzo dopo, a soli 24
anni d’età.
FONTI E BIBL.: P. Garbero, Missionari in Cina, 1965, 118.
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DALL’OLIO PIETRO
San Secondo 6 gennaio 1821-Borgo San
Donnino 26 maggio 1906
Vestì l’abito cappuccino a Borgo San Donnino a diciassette
anni (11 maggio 1838). Religioso di profonda pietà e grande
carità, seppe profondere le sue doti nel ministero pastorale
come superiore, predicatore, confessore e ricercato
direttore di coscienze. Fu inoltre fabbriciere, guardiano
(1902) a Vignola, Novellara, Piacenza, Scandiano e Parma,
definitore (1869-1893) e ministro provinciale (1896). Ebbe,
tra gli altri, sotto la sua guida spirituale l’amico
monsignor Andrea Ferrari, rettore del seminario parmense.
Quando ai moti mazziniani, scoppiati a Parma il 22 luglio
1854, seguì la dura reazione del governo borbonico, fu il
Dall’Olio ad assistere e confortare i patrioti condannati a
morte (5 agosto 1854). Per quarantaquattro anni, quasi
ininterrottamente, fu superiore nei principali conventi
dell’Emilia. Volle la Curia nel convento di Parma, di cui fu
benemerito. Morì nel convento di Borgo San Donnino, per la
cui erezione si era battuto.
FONTI E BIBL.: Omaggio per il 60° anniversario di religione
del M.R.P. Ignazio da San Secondo, Ministro Provinciale dei
Cappuccini della Provincia Parmense, 11 maggio 1898, Modena,
Tipografia Pontificia e Arcivescovile Immacolata Concezione,
1898; Anal. Ord., XVIII, 1902, 263-264; FF, X, 1932,
135-136; F. da Mareto, Biblioteca cappuccini, 1951, 286; F.
da Mareto, Necrologio cappuccini, 1963, 319; Ausiliatrice
3/4 1965, 3; E. Massa, L’Almanacco Parmense, Strenna, 1927,
254; F. da Mareto, Bibliografia, 1974, 574.
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DEL BONO
ANASTASIO
Nato a San Secondo il 13
aprile 1929. Oboista.
Dopo
aver studiato al Conservatorio di Parma come alunno interno
con Mario Bocchia, si è diplomato nel 1949. Dedicatosi alla
professione di orchestrale, ha suonato per 2 anni come II
oboe al Teatro Comunale di Bologna. Nel 1951, vinto il
concorso come corno inglese nell'orchestra sinfonica di
Montevideo (Uruguay), ha tenuto quel posto per 4 anni.
Rientrato in Italia, nel 1957 ha vinto il concorso per I
oboe al Teatro dell'Opera di Roma, posto che ha tenuto fino
al 1983, anno nel quale ha abbandonato la carriera in
orchestra. Nel 1969 è stato nominato docente di oboe nel
Conservatorio di musica di Pesaro, e nel 1973 si è
trasferito in quello di S. Cecilia di Roma, per passare nel
1981 a Parma, dove ha insegnato fino al collocamento in
pensione nel 1999.
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DEL BUTTERO ANTONIO LUIGI
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DEL BUTTERO
SIMONE
Firenze 1739 c.-post 1796
Fissò la propria residenza in San Secondo in epoca di poco
precedente al 1757, anno in cui, in data 5 giugno, sposò
Eufrasia Seletti, dalla qale ebbe nove figli. Deceduta la
moglie a trentasei anni nel 1769, il Del Buttero si coniugò
con Francesca Casalpa, che gli diede altri quattro figli.
Esercitò la professione di intagliatore, oltre che nel
Ducato parmense, nei contigui Stati estensi. Tanto si deduce
da una serie di pagamenti (Archivio di Stato di Modena,
Fondo ECA, Confraternita di San Pietro di Vignola, F. 1673,
Conti de’ cassieri dall’anno 1787 a tutto 1796, c. 60) per
lavori eseguito per la Confraternita di San Pietro in
Vignola tra cui figurano, tra il 15 ottobre e il 20 dicembre
1796, la velatura della mensa dell’altare maggiore, vari
interventi restaurativi su arredi processionali come il
gonfalone, la realizzazione di una croce intagliata,
l’argentatura di un paliotto ligneo e la verniciatura di
candelieri, pure in legno intagliato (materiali tutti che
risultano dispersi).
FONTI E BIBL.: Dizionario biografico degli Italiani, XXXVI,
1988, 381-382.
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DEL GROSSO
FRANCESCO
San Secondo Parmense
28 settembre 1899-Barracas 22 luglio 1938
Nato da Maria Egla Del Grosso. Fu ufficiale degli Arditi
nella prima guerra mondiale, dove si guadagnò la croce di
guerra al valor militare. Camicia nera, poi squadrista della
marcia su Roma, fu volontario nell’Africa Orientale Italiana
e infine volontario in Spagna. Iscritto alla M.V.S.N. dalla
fondazione col grado di Centurione, partecipò alla campagna
per la conquista dell’Impero con tale grado, sebbene avesse
già ottenuto la promozione a Primo Seniore. Partito per la
Spagna nel 1937, fu destinato alla XXIII Marzo. Comandò per
un certo tempo il Battaglione Lupi e successivamente fu
nominato comandante del 5° Reggimento Camicie Nere (74ª
Legione Taro. Partecipò così a tutte le più importanti
azioni cui prese parte il suo reparto, distinguendosi sempre
per l’alto spirito di combattente e il fervore fascista.
Quale comandante di una delle due bande nere che il 13 marzo
1937, nel settore di Trijuque (prima fase della battaglia di
Guadalajara), lottarono contro la 50ª Brigata di Lister
composta da veterani del 5° Reggimento, appoggiati da mezzi
corazzati, il Del Grosso si prodigò per evitare lo
sbandamento dei reparti. Malgrado le difficoltà, la
situazione non sfuggì al suo controllo. Sebbene i reparti
legionari riportassero 39 morti e 60 feriti, senza
considerare il numero di prigionieri, riuscì a evitare
l’annientamento delle proprie forze e ripiegò con i
superstiti. Per questa azione fu decorato di croce di guerra
al valor militare. Il 17 luglio 1938, nella Conca di Baracas,
mentre si recava a dare ordini al Battaglione Lupi per una
conversione da farsi in combattimento, venne colpito da una
raffica di mitragliatrice nella regione inguinale e
addominale: spirò cinque giorni dopo. Il Del Grosso fu
decorato di medaglia di bronzo il 23 agosto 1937 e di due
medaglie d’argento, l’ultima delle quali porta la seguente
motivazione: Sempre distintosi in tutte le azioni precedenti
per valore personale e perizia, sia quale comandante di
battaglione che quale ufficiale superiore a disposizione.
Più volte incaricato di rischiose missioni e di difficili
compiti, li portava sempre brillantemente a termine. Nel
dirigere valorosamente l’azione di un battaglione per
l’occupazione di importanti posizioni rimaneva ferito a
morte, ma teneva contegno stoico e sereno, destando
l’ammirazione dei dipendenti.
FONTI E BIBL.: G. Sitti, Legionari in Spagna, 1940, 73;
Decorati al valore, 1964, 113-114; P. Tomasi, Morti per la
causa franchista, 1982; F. Morini, Parma in camicia nera,
1987, 181.
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DEL GROSSO
LUIGI
San Secondo Parmense 25 luglio 1916-Parma 12 maggio 1976
Raccolse i primi consensi come calciatore difendendo la
casacca bianconera del San Secondo. Poi passò alla Giovane
Italia e quindi al Parma, dove rimase due stagioni
(1932-1934). Successivamente indossò la maglia della
Cremonese, del Modena, della Lazio, del Treviso, della Spal
e nuovamente del Parma (1946-1947). Poi iniziò una
prestigiosa carriera come allenatore (Pisa, Ascoli, Pescara,
Lanciano, Padova, Reggiana). Per due volte (1957-1958 e
1958-1959) ricevette il premio Seminatore d’oro. A Reggio
Emilia iniziò la carriera di direttore sportivo. Dopo la
Reggiana passò alla Sampdoria ma l’anno seguente il Del
Grosso ritornò a Parma, nella società che già in passato
aveva onorato come calciatore. Fu anche presidente
dell’Associazione italiana allenatori di calcio.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 24 gennaio 1993.
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DEL PRATO PIETRO GIOVANNI
San Secondo 12 dicembre 1815-Parma 29 gennaio 1880
Nacque da Ferdinando e da Annunziata Barilli. Si avviò agli
studi di medicina nella città di Parma, nel periodo in cui
le scuole superiori dello Stato sostituirono l’Università
parmense, chiusa dopo i moti del 1831. Ebbe maestro, tra gli
altri, Giacomo Tommasini. Laureatosi nel 1838, esercitò per
un certo tempo la professione, anche in qualità di medico
condotto nel paese natale. Dopo pochi anni, però, la sua
carriera cambiò radicalmente direzione, in rapporto con la
vicende che animarono la scuola veterinaria di Parma, ove un
insegnamento di medicina veterinaria aggregato
all’Università, inaugurato con la riforma di Maria Luigia
d’Austria, era stato retto da M.L. Benvenuti. Alla morte di
questo, nel 1839, il governo si trovò nella necessità di
garantirsi la prosecuzione della scuola e decise di inviare
due giovani medici a istruirsi nelle scienze veterinarie a
Milano. Il Del Prato sostenne il concorso e ne risultò
vincitore insieme con F. Lombardi, con il quale nel gennaio
1843 si trasferì a Milano. L’Istituto veterinario di Milano
era stato da pochi anni modellato sull’esempio di quello di
Vienna ed era sottoposto all’autorità accademica
dell’Università di Pavia. Godeva delle cure e
dell’interessamento particolare dell’ambiente governativo e
attraversava, in quel momento, un periodo aureo di grande
vigore didattico e scientifico. A quella scuola il Del Prato
completò gli studi zooiatrici laureandosi il 4 settembre
1844. Tornò quindi in patria e già nel novembre dello stesso
anno poté assumere la direzione della cattedra di medicina
veterinaria che era stata del Benvenuti, mentre al Lombardi
fu affidato l’insegnamento della chirurgia veterinaria. In
questo modo si ristabilì in Parma un organico corso di studi
veterinari e nel 1845 venne aperta la scuola nel Borgo
Carissimi. Il Del Prato si trovò così a essere, tra il 1844
e il 1848, il protagonista della riforma della scuola
veterinaria parmense, della quale assunse poi la direzione
nell’aprile 1848, quando altri docenti vennero aggiunti ai
primi due. Nel 1849, in seguito agli avvenimenti politici
risorgimentali ai quali egli aderì, venne temporaneamente
sospeso dall’ufficio. Reintegrato nell’insegnamento nel
1850, nel 1854 poté tornare alla direzione dell’istituto
veterinario. In quell’epoca aveva oramai maturato una valida
formazione nel campo degli studi zooiatrici e della pratica
applicazione della disciplina. Oltre che in campo didattico
il Del Prato fu fortemente impegnato in quello scientifico e
cominciò a pubblicare i risultati delle sue osservazioni e
delle sue ricerche, acquisendo in breve tempo notorietà e
solida reputazione in campo nazionale. Fu in corrispondenza
e in amicizia con i maggiori rappresentanti degli ambienti
scientifici nei quali evolveva in quegli anni il
rinnovamento della veterinaria. Restò sempre legato alla
città e all’Università di Parma, dedicandosi incessantemente
ai suoi studi e alla didattica, che interruppe solo
brevemente nel 1859 durante la seconda guerra
d’indipendenza, e fondando una buona scuola alla quale si
formarono molti allievi. Il Del Prato diede tardi le sue
prime pubblicazioni. È noto, a questo proposito, un episodio
del 1854, quando la fedele trascrizione dei suoi appunti
sulle epizoozie fu stampata a Milano da A. Volpi a proprio
nome e a insaputa del Del Prato. Tra i primi lavori si
ricordano quelli sulla giarda equina, in cui tende a
escludere in questa forma morbosa cutanea la prerogativa
specifica di vaccinogeno sino ad allora da molti
attribuitale. Nella sfera di questi interessi si inserì il
suo viaggio negli stati tedeschi, nella primavera del 1858,
quando fu inviato dal governo a studiare l’andamento della
produzione del vaccino a mezzo della retrovaccinazione. Nel
1858 il Del Prato osservò in Parma un morbo che imperversava
pernicioso tra i cavalli e ne propose una definizione
diagnostica: Tifoemia nei cavalli (Parma, 1858), indicando
anche le opportune strategie terapeutiche negli alcoolici e
nei chinacei laddove salassi, antimoniali e drastici
apparivano letali. Le sue tesi furono accolte anche dai
seguaci della scuola vampirica. Nel 1861 pubblicò a Torino
(nella rivista Il Medico Veterinario) Osservazioni sul
moccio cronico e sulle malattie dei seni. Nel 1862, quando
giunse in Italia il tifo bovino esotico, egli si occupò di
questa malattia con osservazioni e ricerche originali. Una
serie di studi dedicò anche alla pneumonia essudativa
contagiosa, da molti anni oggetto di ricerche, specie sui
modi e gli effetti dell’inoculazione che era stata proposta
e sostenuta da alcuni. Mentre sulle prime sembrava che
l’esperienza fosse favorevole all’innesto, le sue ricerche
lo portarono a prendere distanza da questa pratica.
Sull’argomento pubblicò Studi sulla pneumonia essudativa e
polmonare, sull’inoculazione e suoi risultamenti (Parma,
1857) e tornò successivamente con altri lavori tra i quali
si può citare quello, scritto in collaborazione con D.
Mambrini, Della pleuropolmonite specifica degli animali
bovini comunemente detta polmonare e sulla pretesa efficacia
dell’innesto come mezzo preventivo. Considerazioni desunte
precipuamente da osservazioni pratiche (Mantova, 1875). Nel
1870 pubblicò a Parma i risultati delle sue osservazioni
sulla malattia che colpì alcuni cavalli di Parma: Il diabate
osservato e curato sopra sei cavalli nella clinica
veterinaria di Parma nel 1870. Relazione medica. Nel 1875
studiò una malattia ulcerosa, molto rara e a eziologia
oscura, comparsa nei bovini di un podere a Fognano di Parma:
Storia di una malattia ulcerosa comparsa sui bovini in una
stalla prossima alla città di Parma nei primi giorni del
1875 con osservazioni diverse concernenti forme morbose
analoghe e relazione delle sperienze eseguite per iscoprire
la cagione di quel male (Parma, 1875). Si occupò anche di
altre importanti patologie: la causa dell’aborto nelle
vacche, la corea dei maiali, la morva e la rabbia. Un suo
interesse particolare per le malattie degli uccelli è
testimoniato in un ampio trattato che fu frutto di un lungo
lavoro in collaborazione con S. Rivolta, allievo del suo
collega e amico G.B. Ercolani: L’ornitoiatria o la medicina
degli uccelli domestici (Pisa, 1880). Si occupò anche dei
temi di igiene veterinaria e di zootecnica. Sostenne la
necessità di curare attentamente gli studi tecnici e legali
che affrontassero i molti problemi della giurisprudenza
veterinaria. Pubblicò un lavoro, Dell’importanza e degli
uffici della veterinaria (Parma, 1870) e pochi anni dopo
diede alla stampa uno studio che ebbe discreta notorietà:
Principi di giurisprudenza veterinaria sulla legislazione
applicabile ai vizi redibitori e la guarentigia nelle
vendite e permute di animali domestici (Parma, 1876), nel
quale sostenne il bisogno di migliorare la legislazione
italiana relativa alla contrattazione del bestiame
domestico. Il Del Prato si dedicò sempre con energia al
problema dell’ordinamento delle scuole di veterinaria.
Durante tutta la sua carriera fu infatti alle prese con le
varie vicende legislative che interessarono la disciplina e
il suo insegnamento, prima nello Stato parmense e, dopo
l’Unità, in campo nazionale. Egli ottenne che nella scuola
di Parma fosse richiesto un corso di studi superiori quale
requisito per l’ammissione, connotando nella selezione più
severa una maggiore dignità degli studi. Il primo atto
legislativo che interessò la scuola veterinaria dello Stato
italiano fu però il Regolamento per le Regie Scuole
superiori di medicina veterinaria del dicembre 1860: questo
provvedimento confermò nella qualifica di scuole superiori
solo le sedi di Milano e Torino, escludendo tutte le altre,
che pertanto vennero considerate secondarie. Le principali
differenze tra le prime e le seconde erano, oltre che nel
trattamento economico dei docenti, nei requisiti per
l’ammissione: solo per l’accesso alle superiori e non per
quello alle secondarie, infatti, fu richiesto un titolo
equivalente alla licenza liceale, valido cioè anche per
essere ammessi all’università. Questi regolamenti
suscitarono proteste e scritti polemici da parte dei
docenti. Il Del Prato in Parma si oppose ai provvedimenti,
ma non riuscì che a ritardarne di qualche anno
l’applicazione. In quel periodo pubblicò Sull’avvenire della
veterinaria in Italia: discorso (Parma, 1861). Il Del Prato
dedicò buon parte dei suoi studi ai temi storici della
disciplina e lasciò una serie di pubblicazioni, discorsi,
note storiche, edizioni di testi e documenti. Questa
inclinazione fu favorita dai suoi forti interessi di
bibliofilo. Egli raccolse pazientemente una vasta biblioteca
specializzata, ricca di gran quantità di libri di varie
epoche e di codici antichi, di zoognosia, di medicina ed
economia degli animali domestici, molti dei quali rarissimi.
Insieme all’Ercolani acquistò la celebre raccolta di libri
veterinari di F. Margarucci di Roma e riuscì a procurarsi
anche diversi manoscritti appartenuti a G. Orus che,
originario di Parma, aveva operato a Padova nella pratica e
nell’insegnamento della veterinaria. Da questo materiale
trasse gli studi sullo sviluppo della disciplina in Padova
nel secolo XVIII e sulla scuola fondata dall’Orus. Buona
notorietà gli venne dalle sue fatiche di editore di antichi
testi. Pubblicò i Trattati di mascalcia, attribuiti ad
Ippocrate, tradotti dall’arabo in latino da Maestro Moisè da
Palermo, volgarizzati nel secolo XIII, messi in luce per
cura di Pietro Del Prato, corredati di due posteriori
compilazioni in latino e in toscano e di note filologiche
per cura di Luigi Barbieri (Bologna, 1865), nella Collezione
di opere inedite o rare dei primi tre secoli della lingua.
Di lì a poco diede l’edizione de La mascalcia di Lorenzo
Rusio. Volgarizzamento del secolo XIV messo per la prima
volta in luce da Pietro Del Prato aggiuntovi il testo latino
per cura di Luigi Barbieri (Bologna, 1867-1870), nella
medesima Collezione di opere inedite o rare, in due volumi,
il primo dei quali contenente il testo volgare e latino,
tratto da un codice della sua biblioteca privata, e il
secondo l’ampio studio Notizie storiche degli scrittori
italiani di veterinaria, corredato da un glossario e da
indici. Di argomento storico è anche un’altra operetta
sintetica, La veterinaria e la medicina comparata in Italia
da Renato Vegezio a’ giorni nostri. Discorso (Parma, 1869),
in cui sottolineò tra l’altro l’intima connessione tra gli
studi di medicina veterinaria e quelli di medicina umana.
Egli ebbe infatti sempre a cuore questo tema, sostenuto
dalla sua duplice formazione, dalle due lauree e dalle
personali esperienze sia di medico sia di veterinario.
Asseverò la sua tesi con l’espressione del giudizio di G.F.
Ingrassia, che già nel secolo XVI affermava la necessità di
sottoporre l’esercizio della veterinaria all’autorità del
protomedicato, riconoscendo l’uguaglianza delle due branche
dell’arte di sanare. Il Del Prato fu attivo anche nella vita
sociale e politica della città e ricoprì cariche pubbliche:
fu consigliere comunale e provinciale a Parma ed espresse
idee vicine al partito moderato. Fu membro e poi presidente
della commissione amminstrativa degli ospizi civici e membro
di commissioni scolastiche e sanitarie. Fu membro di
accademie e associazioni scientifiche. Nel 1873 fu
presidente della commissione per gli studi zootecnici ed
economici sulle razze bovine nel Parmense. Fu insignito di
molte onorificenze, tra le quali la nomina a cavaliere dei
Santi Maurizio e Lazzaro. Egli fu, con l’Ercolani e con
altri esponenti del suo tempo, tra coloro che con maggiore
vigore promossero l’innalzamento della veterinaria al rango
degli studi universitari, sostenendo la riforma della scuola
e accrescendo il patrimonio della disciplina con l’esercizio
della professione e della didattica sempre vincolato
all’osservanza del rigore scientifico e della ricerca. Può
certamente essere considerato il fondatore e il più attivo
esponente della scuola veterinaria di Parma nel secolo XIX.
Sposò Margherita Giraschi. Morì quando era massimo il suo
impegno nello studio e nell’insegnamento. Il suo posto di
direttore dell’istituto veterinario fu occupato da F.
Lombardi, l’amico che aveva iniziato e percorso con lui
tutte le tappe della carriera nella scuola parmense.
FONTI E BIBL.: Necrologio in Annuario Scolastico della Regia
Università degli studi di Parma, 1879-1880, Parma, 1880,
69-72 (con l’elenco delle pubblicazioni); Annuario
Scientifico e Industriale XVII 1880, 878; B. Panizza,
Ricordi sui meriti di R. Del Prato, Padova, 1880; G.B.
Janelli, Dizionario biografico dei Parmigiani illustri,
Appendice, Parma, 1880, 66-74; Gli allievi diplomati nel
primo centennio della Regia Scuola superiore di medicina
veterinaria di Milano (1791-1891) con brevi cenni
biografici, Milano, 1981, 107 s.; E. Michel, in Dizionario
del Risorgimento Nazionale, Milano, 1930; F. Ercole, Uomini
politici, 1941, 35; Dizionario Utet, IV, 1956, 467; F.
Rizzi, I professori dell’università di Parma attraverso i
secoli. Note indicative bio-bibliografiche, Parma, 1953, 84
s.; V. Chiodi, Storia della veterinaria, Bologna, 1981, 170,
327, 332, 355, 455; G. Armocida, in Dizionario biografico
degli Italiani, XXXVIII, 1990, 251-254.
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DERLINDATI GIULIO
San Secondo Parmense 27 aprile 1912-Cefalonia 10
settembre 1943
Residente a Roccabianca, fu soldato appartenente al 17°
Fanteria, 1° Battaglione, 4ª Compagnia, Divisione Acqui.
Morì in combattimento contro i Tedeschi.
FONTI E BIBL.: Gazzetta di Parma 21 aprile 1990,
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